mercoledì 28 ottobre 2009

SULLA GROTTA "IS ZUDDAS" - Santadi

http://www.blogger.com/home
scritto per: ITALIA NOSTRA - SEZIONE DEL SINIS - CABRAS

SULLA GROTTA “IS ZUDDAS” - (Santadi)

A MARGINE DI UN’ESCURSIONE
DI ITALIA NOSTRA, SEZIONE DEL SINIS

effettuata nel mese di Luglio 1984



di
MARIO SALVATORE GABRIELE DI STEFANO
(Gruppo Ricerche Speleologiche “Edouad Alfred Martel” – Carbonia)

Luglio 1984


RIASSUNTO
La relazione si compone di due parti assolutamente indipendenti l’una dall’altra.
Dopo un breve cenno, di carattere generale, sulla speleologia e i suoi intendimenti (parte prima), si esaminano -a grandi linee- le condizioni del territorio comunale in cui si sviluppa la grotta oggetto della presente nota. Si descrive, quindi, la cavità e si esamina la sua speleo genesi. Si forniscono, inoltre, i dati metrici e alcune carte tra cui quella topografica della grotta.
Mario S. G. Di Stefano



PARTE PRIMA
L A .S P E L E O L O G I A

Oggetto di studio di quella scienza interdisciplinare che è la speleologia sono le cavità naturali in qualsiasi tipo litologico sviluppantesi. Queste cavità sono comunemente e genericamente denominate “grotte”.
E’ appena il caso di puntualizzare che la speleologia non è identificabile in toto con la carsologia (cioè con quella branca della speleologia che si occupa delle grotte carsiche), anche se lo speleologo -e principalmente qui, in Sardegna- quasi sempre ha a che fare con essa esclusivamente.
Fatte queste precisazioni dobbiamo aggiungerne alcune altre per definire lo “spirito” che anima gli speleologi.
Ben raramente, in primo luogo, gli speleologi si sentono studiosi particolarmente impegnati. Certo, di una cavità -oltre alla semplice esplorazione- ne definiscono le caratteristiche geologiche generali; cercano di ricostruirne la genesi e l’evoluzione; sempre ne effettuano il rilievo topografico; talora ne osservano le forme viventi, ma ben raramente vanno in grotta solo per queste cose.
E’ comunque difficile dire quali motivi spingano a dedicare buona parte del loro tempo libero a tale attività, né io voglio tentare di darne una spiegazione a tutti i costi. Tutt’altro!
Posso comunque dire solamente che, come tutte le cose fatte per … passione, per sport (inteso nel suo significato più giusto), anche la speleologia è un hobby che, ovviamente, lo speleologo cerca di praticare nel miglior modo possibile, quindi …. anche studiando.
E’ ben raro il caso di colui che inizia a scendere in grotta con l’unico scopo di comprenderne le varie fenomenologie, ma ancora più raro è il caso dello speleologo che per anni percorre su e giù certi ambienti senza mai porsi qualche interrogativo. Pertanto, prima o poi, chi partica questa attività, questo “sport”, si diletta … studiando!
In altre parole la speleologia va vista come un mezzo di indagine e di informazione (1).
*********
In Sardegna, oggi esistono più di venti gruppi speleologici, tutti riuniti nella Federazione Speleologica Sarda e, quasi tutti, affiliati alla Società Speleologica Italiana.
Alcuni speleologi (molti!) sono anche soci del Club Alpino Italiano e costituiscono le quattro squadre dell’8° Gruppo del Corpo Nazionale Soccorso Alpino – Delegazione Speleologica che operano in Sardegna e che, purtroppo, sono dovute intervenire in gravi occasioni (quasi mai coinvolgenti speleologi propriamente detti, ma più spesso semplici incauti escursionisti).
La Federazione Speleologica Sarda gestisce il Catasto delle Grotte della Sardegna (ramificazione del Catasto delle Grotte d’Italia, facente capo alla S.S.I.), dove confluiscono tutti dati relativi a ciascuna singola cavità naturale conosciuta e rilevata.
In seno alla Federazione Speleologica Sarda vi è una Commissione Scientifica di cui fanno parte speleologi particolarmente versati e preparati nei diversi settori scientifici (ovviamente quasi tutti lavorano a livello universitario o in società di ricerche), ma esistono varie altre Commissioni, quali quelle: per il Turismo, per le Grandi Esplorazioni, per la Tecnica, per il Soccorso, etc. etc..

------------------------------------
(1) - G. Rossi Osmida – 1974 – Le caverne e l’uomo - Ediz. Longanesi & C. – Milano – pp. 1-286

...................



















...................

PARTE SECONDA
IS ZUDDAS

1.1 – IL TERRITORIO COMUNALE
Il comune di Santadi (152,63 Km2; 6.500 abitanti circa al 1975) è situato al centro del “Basso Sulcis”, nella parte Sud Occidentale della Sardegna.
E’ ubicato in un territorio dove gli antichi rilievi paleozoici si manifestano con forme per lo più arrotondate che, comunque, in alcuni casi, sfiorano o superano 1 mille metri (da Sud verso Nord infatti abbiamo: P.ta Sèbera, q. 979 m; P.ta Maxia, q. 1017 m; M.te Sa Mirra, q. 1027 m; M.te Tiriccu, q. 1105 m.).
I suoli, per lo più poveri e talora con massime limitazioni d’uso, sono classificabili fra i non coltivabili, anche se possono ancora prestarsi al rimboschimento o al dominio della vegetazione spontanea (1).
Solo lungo i corsi d’acqua (Rio Mannu di Santadi, Rio Murreci, Rio Siriddi) i suoli possono essere classificati come mediocri e prestarsi alla coltura arborea (2).
Le principali sorgenti sono, in genere, ubicate nella parte Sud Est del territorio comunale, a quote relativamente elevate e -quasi sempre- su terreni paleozoici o al contatto fra questi e quelli più recenti.
Per quel che riguarda la geologia possiamo dire che tutte le ere, ad eccezione di quella mesozoica, hanno lasciato le loro tracce evidenti.
La serie paleozoica inizia col Cambrico in cui vengono distinte:
a) - la formazione delle arenarie, databili al Georgiano superiore; interessa la parte centro orientale dell’intero territorio comunale di cui copre circa un quarto della superficie;
b) - la formazione del metallifero, databile al Georgiano superiore –Acadiano inferiore; interessa circa un decimo dell’intera superficie comunale ed è localizzabile nelle parti a Sud dell’abitato. E’ in questo calcare che troviamo le numerose grotte del Santadese.
c) - la formazione degli argilloscisti, attribuibile all’Acadiano; interessa una superficie di meno di un decimo dell’intera superficie comunale ed è localizzabile nella parte Sud-Orientale della stessa.
Durante il Carbonifero si manifestò l’orogenesi Ercinica e la serie paleozoica fu soggetta a granitizzazioni, mineralizzazioni e metamorfosmi vari, di cui i graniti, nella parte Nord-Est del territorio comunale, sono evidenti testimonianze e ne ricoprono un’area pari a circa un ottavo di quella totale.
Il cenozoico è rappresentato particolarmente dalle formazioni trachitoidi oligo-mioceniche presenti nella parte Ovest del comune, mentre la parte centro-occidentale appartiene al pleistocene ed all’olocene, entrambi costituiti, fondamentalmente, da antiche alluvioni terrazzate.
La vegetazioni è costituita da forme sclerofile termo xerofile sempreverdi, rappresentate da forme degradate della Genista e Cisto e dell’Oleo lentuscetum, mentre -nelle parti a quote maggiori- la presenza delle foreste a Quercion ilicis rappresenta dei boschi mesofili (Pantaleo). Sempre a quote relativamente elevate la macchia è costituita da Erica ed Arbustus (P.ta Maxia) (3).
Non è raro osservare sulle aspre creste ad Est del territorio la Aquila del Bonelli, mentre dovrebbe essere un po’ di casa anche lo sparviere (amche se chi scrive non ha mai avuto occasione di notarlo).
Nelle parti pù intricate della foresta vive il cinghiale, mentre il cervo non è difficile sentirlo bramire nelle zone tra il Monte Lattias e il Monte Nieddu e, talvolta, anche verso Punta Maxia durante la stagione degli amori.
Le temperature annue medie diurne raggiungono i 17°C, mentre i valori delle precipitazioni medie annue variano dain700 ai 1100 mm, a seconda delle condizioni orografiche esaminate, ovviamente.
L’umidità relativa è compresa tra i il 70 ed il 75%. L’escursione termica annua è molto elevata e si può andare, a seconda delle zone, dai 16 ai 18°C, mentre quella diurna varia dagli 8 ai 12°C, sempre in funzione del variare dell’altitudine.
La media delle temperature massime diurne supera i 23°C, particolarmente nella parte Ovest del territorio comunale.
Il clima è, pertanto, attribuibile al tipo sub-tropicale per quasi tutta l’area comunale, mentre nelle zone più elevate passiamo al clima temperato caldo (4), (5), (6).

......................




















--------------------------------------------------
(1) – A. Pietracaprina – 1971 – Limitazioni d’uso dei suoli - Atlante della Sardegna - Vol. 1 – Tav. 6 - La Zattera Editrice – Cagliari - pp. 13-13
(2) – ibidem
(3) – M. Chiappini – 1971 – Vegetazione – Atlante della Sardegna – Vol. 1 – Tav. 29 – La Zattera Editrice – Cagliari - pp. 56-57
(4) - M. Pinna – 1971 – Tipi di clima – Atlante della Sardegna – Vol. 1 – Tav. 26 – La Zattera Editrice – Cagliari – pp. 56-57
(5) - M. Pinna – 1954 – Il clima della Sardegna - Libreria goliardica – Pisa – pp. 1-85
(6) - P.V. Arrigoni – 1968 - Fitoclimatologia della Sardegna - Ed. Webbia – 23 – Firenze - Ristampa anastatica a cura dell’Assessorato per la Difesa dell’Ambiente - Regione Autonoma della Sardegna – Cagliari – 1981 – pp. 1-100

*************************************************************************************

GROTTA: IS ZUDDAS Comune: SANTADI Regione: SARDEGNA
Long.: 03° 44’ 44” - (Ovest Monte Mario – Roma)
Latit.: 39° 02’ 42” - (Nord equatore terrestre)
Altit.: 120 m s.l.m.
Prof.: - 15 m
Svil.: 1600 m

Scoperta ed esplorata nel 1970 dal Gruppo Ricerche Speleologiche “Edourad Alfred Martel” di Carbonia. Rilevata definitivamente il 3.10.1971 dal Gruppo Ricerche Speleologiche “Edouard Alfred Marte” di Carbonia, con bussola ed eclimetro da miniera, a doppia sospensione cardanica, della Filotecnica Salmoiraghi, mod. 15161, con sensibilità di 30’. Rivevata da M.S.G. Di Stefano, O.Corona, A. Salis.
Cartografia e riduzione di M.S.G. Di Stefano
*************************************************************************************
PLANIMETRIA DELLA GROTTA “IS ZUDDAS” - SANTADI

L E G E N D A
A = Ingresso (artificiale) – Cancello;
B = Inizio piccola salita – Passaggio con corrimano;
C = Sommità piccola salita - Sulla volta fossili di Prolagus;
D = Discesa passaggio con corrimano – Parete Est adornata con concrezioni parietali di piccole dimensioni del tipo coralloide;
E = Prima sala descritta;
F = Ingresso naturale, oggi chiuso;
G = Andito scavato dalle acque in condizioni freatiche;
H = Seconda saletta – Assenza di concrezioni e pavimento ricoperto di terriccio finemente pulverulento;
I = Sbocco del passaggio aperto dallo Spelo Club Santadese (passaggio naturale) ostruito da fanghi e altro materiale;
L = Salone del teatro;
M = Diaclasi che conduce all’unico bacino di acque ancora presente nella grotta.- Presenza di CO2;
N = Imbocco passaggio per il “Ramo nuovo”;
O = Grande frana;
P = Zona della colata stalagmitica denominata «Il Mosè»;
Q = Sala del camposanto;
R = Area del «corallo»;
S = Sala delle eccentriche;
T = Vecchi livelli di acque – Parete Ovest denominata il «bagno»;
U = Sala delle meraviglie.
..................

2.1 – ALCUNI DATI
La grotta è stata rilevata il 3.10.1971 dal Gruppo Ricerche Speleologiche “Edouard Alfred Marte” di Carbonia, con bussola ed eclimetro da miniera, a doppia sospensione cardanica, della Filotecnica Salmoiraghi, mod. 15161, con sensibilità di 30’.
Vengono ora elencati alcuni dati essenziali alla identificazione e alla localizzazione della cavità:

nome……..………..: IS ZUDDAS
comune………..……: SANTADI provincia: CAGLIARI regione......: SARDEGNA
località…………….: Monte Meana
tavoletta I.G.M…….: 233 II S.O. - IS CARILLUS - Ediz. 1967
longitudine…………: 03° 44’ 44” (Ovest di Monte Mario – Roma)
latitudine…….…..…: 39° 02’ 42” (Nord equatore terrestre)
altitudine……………: 120 m s.l.m. (Mareografo Cagliari 1956)
sviluppo complessivo.: 1.600 m
profondità massima…: - 15 m
dislivello totale……...: 35 m
frattura principale…...: 200 m direzione N 70 E


2.2 – L’ESTERNO
La grotta sorge in una zona in cui la rete idrografica superficiale, anche se ciò non sempre può risultare evidente a prima vista, è abbastanza estesa e sviluppata. Detta rete è costituita da corsi a carattere torrentizio che nascono dai rilievi situati nella parte Est del territorio comunale.
I letti di detti corsi si presentano, a monte, abbastanza scoscesi e infossati, mentre a valle sono piuttosto appiattivi e ricchi di ciottolame grossolano non cementato e di varia natura litologica.
Poche decine di metri a Nord dell’edificio costruito dalla Cooperativa formata da alcuni soci dello Speleo Club Santadese (zona del parcheggio della auto) scorre il Rio Cambudu che è formato dalla confluenza di vari rigagnoli nascenti dal Monte Chia (q. 803 m) e che prende il nome di Rio Murreci dopo il suo incontro con il Rio Is Cattas, che lambisce il versante Ovest del Monte Meana (circa cento metri dal parcheggio delle auto) e che sfiora le case del nucleo abitato di Su Benatzu (uno dei pochi “medau” ancora rimasti).
Is Zuddas, la grotta, si apre a circa 6 Km a Sud dell’abitato di Santadi, tra le case del “medau” di Su Benatzu e quelle (ormai abbandonate e diroccate) di Is Zuddas (circa 200 m ad Est dal parcheggio delle auto).
La cavità sorge sul versante N.N.O. del Monte Meana (q. 237 m) che è litologicamente costituito da un calcare dolomitico databile al Cambriano medio (7), (8).
Detto calcare si presenta nel suo aspetto massivo di colore grigiastro con stratificazioni circa Nord-Sud, immersione Est ed inclinazione di circa 60° (9).
Il sistema diaclasico principale, desumibile, dal rilievo topografico della cavità, ha una orientazione Nord 70 Est ed una lunghezza accertata di almeno 200 m (ma certamente è molto più esteso).
La grotta è affidata alla custodia e salvaguardia della Cooperativa “Is Zuddas” costituita da soci del locale gruppo speleologico.
Si arriva ad essa attraverso la carrozzabile, ora asfaltata, che da Santadi, attraverso Barrua, Su Benatzu, Is Cattas ed Is Carillus, conduce fino a Teulada.

2. 3. DESCRIZIONE .....(9)
L’accesso si presenta con un tunnel artificiale ed è costituito da un assaggio minerario. La grotta, infatti, negli anni ’60 e ’70 è stata oggetto dell’attività di una cava di onice che operava senza la necessaria autorizzazione dell’Ufficio Miniere.
Questo tunnel, è evidente, non costituiva l’ingresso naturale che -oggi chiuso e non più distinguibile dall’esterno- sorge circa a 30 metri ad Ovest e circa 20 metri pù in alto.
Il passaggio artificiale in questione è sbarrato, fortunatamente, da un robusto cancello apposto, ad opera dello Spelo Club Santadese, per proteggere la cavità dai soliti … ignoti!
Percorsi i primi metri ecco i gradini opportunamente bordati da corrimano ancora in via di sistemazione.
Poco prima di arrivare alla sommità della gradinata (+6 m, circa) sul soffitto si possono guardare comodamente i resti di vari roditori (Prolagius sardus – W.) che costituiscono un’i interessante breccia ossifera.
Si arriva così alla prima sala, dalle dimensioni non particolarmente ampie (15 x 25 m) alta circa 10 m, dove l’opera degli esplosivi, nonostante il lavoro proficuo di sistemazione della S.C.S., è ancora evidente.
Certamente questa sala in origine doveva avere un aspetto magnifico, dato che ancora oggi si possono vedere notevoli coltrine, drappeggi e qualche colonna stalatto-stalagmitica.
Sulla parete sinistra, per chi si addentra nella cavità, si osservano estese superfici ricoperte da concrezioni parietali del tipo “coralloide”.
Il pavimento della sala è costituito da terriccio e pietrame vario, resto delle splosioni. La sala è sovrastata, sul bordo Ovest (cioè a destra del visitatore in ingresso), da un terrazzo situato circa sei metri più in alto che conduce ad un secondo ingresso (oggi opportunamente bloccato).
La grotta prosegue sul lato sinistro (Est) della predetta sala con un ampio andito, lungo una quindicina di metri, percorribile comodamente solo sul lato destro per via della presenza di un abbondante strato di argilla sul pavimento fortemente inclinato trasversalmente al verso di percorrenza. Qui grosse lame di roccia pendono dal soffitto a testimonianza di vorticoso scorrimento delle acque. Segni di scorrimento in condizioni freatiche si osservano nella volta, priva dei soliti concrezionamenti stalattitici, ma con evidente tracce di evorsioni e brevi tunnel di condotto a pressione.
Superato il predetto corridoio si accede ad una saletta dalla forma sub-circolare di circa 10 metri di diametro, con la volta alta circa 12 metri quasi totalmente assente si concrezioni, con le pareti di roccia nuda ed il pavimento ricoperto da uno strato di terriccio finemente pulverulento.
Sul bordo S.E. di detta saletta si apre una imponente, ma stretta, diaclasi, percorribile solo con tecniche alpinistiche, che attraverso un passaggio situato circa 15 metri più in alto conduceva, con una serie di arrampicate, al così detto “salone del teatro” al quale si arriva oggi, molto più semplicemente, percorrendo un breve condotto un po’ angusto e basso.
Questo condotto (naturale) risultava -sino a non molto tempo fa- ostruito da depositi di “terra rossa”, residuo della dissoluzione chimica del calcare e trasportatinin loco da evidente scorrimento di acque in piena. Oggi il passaggio è stato reso praticabile e restituito nella sua forma originale, all’opera degli instancabili amici di Santadi.
Si giunge così all’imponente “salone del teatro” (circa 40 x 25 m di dimensioni planimetriche e circa 15-18 m di altezza). Non sono solo le dimensioni a colpire, ma la sua bellezza, anche se sono evidenti le tracce del passaggio dei “tagliatori”. Abbondano le stalagmiti isolate dalle dimensioni di 80 – 150 cm di altezza e diametro variante fino ai 30 cm. Abbondano le colate parietali e le coltrine stalattitiche, nonché le stalattiti che raggiungono anche notevoli dimensioni pur se talune recano traccia di evidenti tentativi vandalici di asportazione.
La sala del “teatro”, come le altre due che la seguono, ha tratto chiara orgine dall’incontro di fratture di origine tettonica.
Sul bordo S.E. di questo salone abbiamo alcune concrezioni a vaschetta dalle discrete dimensioni. Vicino a queste vaschette dei begli esempi, rari per l’Italia e non troppo comuni anche in Sardegna, di “infiorescenze” di aragonite aciculare, comunemente ed in modo molto impreciso dette “rose di aragonite”.
Sul lato opposto alle vaschette, sempre nel “salone del treatro”, un a frattura di limitate dimensioni porta -con un piccolo salto di circa tre metri- ad una diaclasi percorribile per breve tratto (e con opportune tecniche di grotta). La parte inferiore di essa è allagata (si osservano stalattiti sommerse) ma la presenza di anidride carbonica sconsiglia la prolungata permanenza e la completa esplorazione senza strumentazione opportuna.
A Sud delle citate vaschette si accede ad un’altra diaclasi che dopo breve tratto immette nella frattura più grande di tutta la grotta (circa 200 m). E’ la zona della colato stalatto – stalagmitica che alcuni chiamano il “Mosé”, situata sul lato Est della diaclasi, mentre tutto il ramo Ovest (denominato “ramo nuovo”, anche se scoperto e rilevato nel lontano 1971 dal G.R.S.-Carbonia) è la parte non percorribile al visitatore occasionale, per via degli spazi non molto ampi, anche se è tra gli ambienti più suggestivi che si possano osservare.
Il tratto della diaclasi compresa tra il “Mosé” e il “ramo nuovo” presenta una notevole frana. Il caos di blocchi, pietrame e argilla ne testimoniano una non troppo lontana origine.
Proseguendo il percorso della diaclasi, in direzione Est, dopo circa 70 m di “viabilità” in ambiente non più largo di 3 metri, dopo una piega ad angolo acuto verso Sud, si arriva alla “sala delle meraviglie” che deve il suo nome alla notevole quantità di stalattiti “eccentriche”, “tubolari” nonché a concrezioni parietali di aragonite aciculare. Qui sicuramente per lunghi periodi si è avuta una notevole stabilità termica e dinamica dell’aria. Condizioni necessarie alla formazione di certe forme cristalline. Purtroppo non è consentita la visita a gruppi numerosi per evidenti motivi di salvaguardia di un ambiente dove -fra l’altro- il ricambio naturale dell’aria non avviene in tempi brevi. E’ comunque possibile una visita a piccolissimi gruppi, purché gli intervalli di tempo tra una visita e l’altra siano sufficientemente distanziati.
Ritornando a ritroso nel percorso, fino a dare le spalle alla grande frana, ci si rende conto di guardare un’altra notevole sala (circa 45 x 15 m di misura planimetrica e circa 8-10 m di altezza). E’ la sala del “camposanto”, così battezzata, nel 1971 da alcuni soci del G.R.S.-Carbonia, perché le stalagmiti emergenti dal pavimento, quasi perfettamente piano e ricoperto da un terriccio rossastro di natura argillosa, possono sembrare altrettante esili stele. Come detto le stalagmiti emergono dal pavimento ricoperto dal terriccio, ma mai nessuno -ad oggi- ha provato a sondare quanto sia spesso questo strato di terra rossa. Eppure certamente le stalagmiti devono la loro origine a periodi in cui la roccia si presentava scoperta. Evidentemente acque correnti (non altre forme di trasporto) devono aver depositato questi resti di dissoluzione del calcare durante una piena prolungatasi per qualche tempo, altrimenti il deposito non avrebbe avuto l’andamento planare che possiamo oggi osservare.
Le stalagmiti di questa sala emergono per circa 80 – 100 cm dall’attuale livello di terra e possono raggiungere i 15 – 20 cm di diametro. Certamente esse devono poggiare su una “crosta” calcarea, molto concrezionata, dato che in tutta la sala, sulle pareti, notevoli sono le varie forme di deposizione del carbonato di calcio.
La parete Nord ed Est di questo “sacro luogo” è completamente tappezzata di piccolissimi ed acutissimi aghetti di aragonite dal colore variante dal bianco più puro a grigio chiaro che spesso sfuma in plumbeo.
Attraverso una bellissima serie di vaschette a “scallops” (=dal bordo ondulato, ricamato), lasciando sulla sinistra un caos informe di massi di crollo, si arriva al “Salone del corallo” (circa 35 x 27 m; altezza 8 m).
La sala è molto più ampia di quanto possa sembrare in condizioni di illuminazione non sufficientemente abbondante e tutte le pareti site sul lato Est sono rivestite da una miriade di aghetti, estremamente taglienti, di aragonite.
Attraverso una delle tante diaclasi presenti in tutta la grotta, proseguendo -sul lato Est- percorrendo uno stretto passaggio dal pavimento anch’esso costituito da vaschette, fiancheggiamo la così detta “area del corallo”.
Condizioni fisico – chimiche particolari, certamente acque sovrasature, sicuramente non correnti, condizioni microclimatiche particolari caratterizzate da temperature costanti e relativamente elevate, hanno consentito (fatto notato, ma in misura molto minore, anche in altri ambienti della grotta) lo sviluppo di concrezioni carbonati che di tipo stalagmitico dalla forma coralloide che possono arrivare anche ai 30 cm di diametro e di altezza. Non è un fatto unico per la Sardegna o per l’Italia, ma è certamente il più notevole che sia dato vedere al visitatore occasionale.
Si tralasciano percorsi più impegnativi, ma forse in futuro praticabili, come ad esempio una visita alla piccola “sala rosa”, mentre con qualche ulteriore accorgimento sarebbe possibile una più simpatica visita alla “sala delle eccentriche” (ultima sala visitata), dove risalta il “lampadario”, tutta rivestita di “ovatta” ed eccentriche di aragonite.
Tralascio la descrizione del vecchio bacino di acqua, noto col nome di “bagno”, dato che non tutti hanno avuto modo di visitarlo, ma credo che sarebbe utile alla comprensione dei fenomeni speleologici e degli speleo temi che in futuro anche esso possa essere reso percorribile con più facilità.

La descrizione dell’osservabile esteticamente è terminata e forse ho concesso troppo alla fantasia e poco alla reale visione delle cose.

2. 4 – SPELEOGENESI (10)
Diciamo subito, com’è ovvio, che la cavità in esame altro non è che un tratto del paleo corso del Rio Cambudu. Ciò può facilmente essere desunto dall’osservazione di livelli idrici ormai fossili e dalle tracce di scorrimento, identificabili dalle varie forme di erosione e di deposione.
La cavità, impostata su una serie di diaclasi di discrete dimensioni (desumibili anche dal rilievo topografico), deve la sua origine ad evidenti fenomeni tettonici su cui si è poi impostato il fenomeno carsico.
Certamente il carsismo è iniziato nel momento dell’emersione dei calcari che costituiscono il pilastro tettonico del Sulcis, ma ha avuto modo di svilupparsi più decisamente solo dopo la notevole fatturazione della rigida roccia cambrica.
Le fatturazioni diaclasi che e quelle leptoclasiche sono diventate punto di assorbimento delle acque non solo meteoriche, ma anche di quelle correnti del paleo corso del Rio Cambudu che proprio poche decine di metri più a Nord dell’attuale imbocco della grotta, si incontra, come già detto, con il Rio Is Cattas.
La cavità presenta, un po’ in tutti i suoi ambienti, discrete formazioni stalatto – stalagmitiche e contemporaneamente forme di riempimento dovute ad accumuli, anche di notevoli potenza, di fanghi e ciottolame stratificati in differenti livelli, spesso anche differentemente colorati.
Solo in pochi tratti la grotta si presenta senza concrezionamenti e con la roccia nuda. In particolare la zona Est della prima sala ed il corridoio di congiungimento con la seconda, mostrano forme di corrosione ed erosione, ma non di deposizione. Data la morfologia di questa zona, dove sono presenti tracce di scorrimento di acque in condizioni freatiche, si è indotti a pensare che questo fosse uno dei principali punti di convogliamento delle acque che, qui, dovevano scorrere con grande pressione provenienti da almeno tre ambienti diversi. Probabilmente ciascuno dei tre adduttori doveva presentare diversi tenori di anidride carbonica e questo avrebbe dato luogo a corrosione per miscela di acque (11).
Altra caratteristica di grande importanza per l’attuale morfologia della grotta sono gli immani fenomeni di crollo dovuti probabilmente alle scosse dovute al manifestarsi di forme di vulcanismo recente (quaternario), (12). Del resto nelle grotte di tutto il Sulcis (meno nell’Iglesiente) è normale osservare queste manifestazioni di crollo.
In relazione al vulcanismo recente si tenga presente che nella zona, nel raggio di circa 15 Km, ci sono ben sette sorgenti termali (13), (14), (15), (16) e che in varie grotte del Sulcis è dato trovare acque tiepide. Ancora, la presenza di anidride carbonica non è rara in grotte del Santadese, anche in assenza di fenomeni di origine biologica.

Esistono descrizioni più particolareggiate sul ciclo carsico della cavità (17), ma si po’ concludere questa parte osservando che solo il così detto “ramo nuovo” si trova in uno stadio di parziale attività, mentre in tutto il resto della grotta lo stadio di senescenza è ormai avanzato (fenomeni di riempimento e di crollo), anche se in punti isolati proprio i crollo possono aver dato luogo a fenomeni di ringiovanimento di alcuni condotti.



------------------------------------------------------
(7) – Regio Ufficio Geologico d’Italia – 1938 – F° 233 - Iglesias
(8) – M. Taricco – 1928 – Il Cambriano del Sulcis (Sardegna) - Bollettino Uff. Geol. D’Italia – Vol. I-III (1928)
– n°5 – pp.10-20
(9) – F. Todde – 1972 – Grotta ²Is Zuddas² - Speleologia Sarda – n°1 – Cagliari – pp. 5-10
(10) - M.S.G. Di Stefano – 1974 – Una grotta da difendere: Is Zuddas - Primo congresso Speleologico
Ecologico Sardo – Cagliari - 24-27 Ottobre 1974 - Ciclostilato - pp.1-11
(11) - A. Bini – 1978 – Appunti di geomorfologia ipogea: le forme parietali – Atti del 5° Congr. Reg. di
Speleologia del Trentino Alto Adige – Lavis – pp.19-46
(12) - F. Todde – 1972 – Grotta ²Is Zuddas² - Speleologia Sarda – n°1 – Cagliari – pp. 5-10
(13) – AA.VV. – 1978 – Movimenti neotettonici nella Sardegna meridionale – Memorie della Soc. Geolog. Ital.
– n°19 – 1978 – pp.151-205
(14) - M. Civita – 1983 – Idrogeologia – Idrogeologia del bacino minerario dell’Iglesiente – SAMIN S.p.A. –
Roma – Memorie dell’Istituto Ital. di Speleologia – Sez. II – Voll. II – pag. 104
(15) - AA.VV. – 1981 – Le manifestazioni termali del Sulcis (Sardegna Sud-Occidentale) – Periodico di Miner.
– Roma – 1981 – n°50 – pp.203-255
(16) – M.S.G. Di Stefano – 1981 – Idrografia – In Carbonia: l’ambiente naturale – G.R.S. “Martel” Carbonia –
Dattiloscritto - pp.14-19
(17) – F. Todde – 1972 – Grotta ²Is Zuddas² - Speleologia Sarda – n°1 – Cagliari – pp. 5-10


2.5 – ANNOTAZIONI SULLA SPELEO FAUNA
Studi sistematici sulla speleo fauna della cavità non sono mai stati condotti.
Pietro Barbata (18) segnala la presenza di Bolitophila cinerea (Diptera) nei primi ambienti della cavità dove l’opera distruttiva della cava di onice ha certamente profondamente alterato le condizioni ambientali. Particolarmente si tenga presente che l’accesso che si pratica oggi è del tutto artificiale.
Sempre P. Barbata segnala un chilopode della specie Gabrielis e della Micropterna fissa (Mac Lachalan) (Trychoptera), (19)(20).
Nei primi ambienti si osservano, inoltre, del Meta bourneti Simon (Araneidae), mentre negli ambienti più vasti talvolta di notano chirotteri del genere Myotis.
Opilionidi, psicotteri ed acari sono stati raccolti nel salone del sipario ed in quello del teatro (21).
Segnaliamo, per varla più volte osservata personalmente, la presenza di diplopodi del genere Callipus, nel salone del teatro.
Tra i fossili ricordiamo quelli del roditore Prolagus sardus Wagner nella breccia sul soffitto della prima salita, subito nei pressi dell’ingresso. Abbiamo anche ritrovato un diplopode (?) fossilizzato per incrostazione, inglobato da uno spesso velo di carbonato di calcio, su una colata stalagmitica nella sala del teatro (lato Ovest) accessibile con qualche arrampicata per niente difficoltosa.


--------------------------------------------
(18) - P. Barbata – 1972 – Note faunistiche- In Grotta “Is Zuddas” – Speleologia Sarda – Cagliari – n°1 – pag. 10
(19) - S. Puddu – G. Pirodda – 1974 – Catalogo sistematico ragionato della fauna cavernicola della Sardegna - Rendiconti Semin. Facoltà Scienze Naturali – Univ. di Cagliari – Fasc. 3-4 – Vol. XLIII – 1973 – Bologna – pp. 151-205
(20) - P. Barbata – 1972 – Note faunistiche- In Grotta “Is Zuddas” – Speleologia Sarda – Cagliari – n°1 – pag. 10
(21) - S. Puddu – G. Pirodda – 1974 – Catalogo sistematico ragionato della fauna cavernicola della Sardegna - Rendiconti Semin. Facoltà Scienze Naturali – Univ. di Cagliari – Fasc. 3-4 – Vol. XLIII – 1973 – Bologna – pp. 151-205